Tra le numerose iniziative intraprese nell’ambito della politica di cooperazione tra l’Unione Europea e i Paesi di emigrazione extraeuropei, particolare rilievo viene attribuito al Partenariato Euro-mediterraneo. Quest’ambiziosa iniziativa di cooperazione multilaterale e multisettoriale nasce con
Il documento adottato nel 1995 dai Paesi su menzionati ha lo scopo di realizzare, entro il 2010, una zona di libero scambio all’interno della quale i vari Stati si impegnano a liberalizzare la circolazione delle merci e a gestire secondo regole comuni la circolazione delle persone, grazie all’attuazione di programmi di cooperazione tra cui occorre menzionare, in particolare, il programma Meda mirato alla produzione di informazioni su vari aspetti nazionali, quali la contabilità nazionale, i conti del turismo e del commercio estero, oltre che di dati statistici sui flussi e gli stocks migratori nei Paesi interessati.
In particolare, il progetto Medmigr, nell’ambito del Programma Medstat, rappresenta lo strumento statistico per la cooperazione in materia di migrazione, essendo rivolto alla produzione di un’informazione statistica comparabile e, nel futuro, armonizzata, che permetta ai 27 Paesi mediterranei di definire una politica di emigrazione e di immigrazione coerente e attuabile. Questo programma prevede una cooperazione interistituzionale dove gli interlocutori sono rappresentati dagli Istituti di statistica, mentre la competenza della circolazione delle persone spetta ai Ministeri degli Interni[2].
Dal 1995 al 1999 si è proceduto ad analizzare la situazione dei dodici Paesi extraeuropei che si affacciano sul Mediterraneo, da un punto di vista strettamente statistico; da tale studio è emerso che Malta, Cipro ed Israele presentano da tempo una produzione piuttosto regolare di dati sul fenomeno migratorio – sia in entrata che in uscita – anche perché i primi due erano candidati all'adesione all’Unione europea, mentre lo Stato di Israele ha continui rapporti con organismi europei. In particolare, lo Stato cipriota produce regolarmente dati sui propri connazionali che ritornano a Cipro, oltre a condurre indagini alle frontiere per conoscere l'entità dei flussi e le loro caratteristiche; il governo maltese è interessato ad effettuare delle stime sull'immigrazione clandestina; Israele[3] è invece un Paese di immigrazione: dal 1992 si calcola che abbia accolto circa 2.280.000 immigrati, provenienti per l'83% dall'ex Unione sovietica.
La situazione registrata nei rimanenti Paesi è completamente diversa. Ve ne sono alcuni per i quali l'emigrazione o l'immigrazione non hanno rappresentato mai un tema di interesse; per taluni risulta addirittura più conveniente tacere il numero di persone che se ne allontanano, per non diminuire l'attenzione sociale sul proprio Paese. E’ questo il caso del Marocco, che ha cominciato a mostrare interesse e riconoscimento nei confronti del fenomeno migratorio solo dal 1992, dopo aver preso coscienza della quota rappresentata dalle rimesse degli emigrati rispetto al PIL. Intere zone del Paese hanno infatti conosciuto lo sviluppo non in virtù di specifiche politiche di sviluppo rurale o urbano nazionali, ma grazie alle risorse derivanti da coloro che svolgono la propria attività produttiva lontano dal Paese. Attualmente, il Marocco, costituendo una zona di passaggio per l’emigrazione clandestina, e in virtù della spinta propositiva offerta dalla cooperazione nel settore statistico prevista dal Partenariato euromediterraneo, è impegnato in attività che consentano di stimare i flussi migratori clandestini.
Dall’inizio della realizzazione del Programma sono dunque stati compiuti importanti passi in avanti ai fini della ricerca scientifica. Ora occorre puntare sul perfezionamento delle fonti, ovvero sulla correttezza dei dati forniti dai Ministeri degli Interni tramite i registri di ingresso e di uscita alle frontiere, i registri dei permessi di lavoro e quelli dei permessi di soggiorno, per la cui tenuta si richiede un maggior controllo da parte dei Ministeri stessi.
Attualmente è in corso un’attività di cooperazione tra gli Istituti di statistica e i Ministeri degli Interni, che si prevede possa portare ad avere informazioni più attendibili sui flussi in ingresso e in uscita, sugli stock di immigrati presenti sul territorio e sulla comparazione dei dati riguardanti gli immigrati che provengono da questi Paesi (tratti dalle fonti europee) e quelli relativi agli emigranti e tratti da fonti nazionali.
Nella Dichiarazione di Barcellona viene ribadita l’importanza del ruolo rivestito dalle migrazioni internazionali e la necessità di aumentare la cooperazione per ridurre la pressione migratoria attraverso la formazione e i programmi di assistenza tecnica per la creazione di posti di lavoro. Viene ribadita la volontà di lottare congiuntamente contro l’immigrazione illegale.
Ma, fin dall'inizio, gli intendimenti concreti dei due blocchi costitutivi del Partenariato - gli Stati membri e i dodici partner mediterranei (a cui si era aggiunta
Lo stallo del partenariato euromediterraneo si spiega, indubbiamente, con l'estrema delicatezza della tematica e con la rilevanza degli interessi politici ed economici coinvolti.
Tuttavia, i fallimenti sembrano dipendere anche, almeno in parte, da un difetto di impostazione, da parte europea, di questa componente del processo di Barcellona.
Gli Stati membri e l'Unione hanno infatti concepito il cosiddetto "terzo pilastro" del partenariato cioè quello dedicato alle questioni sociali e culturali, all'interno del quale sono state collocate le migrazioni (per evitare di dover scegliere se considerarle problema di sicurezza o fenomeno economico) - come un'appendice, utile ma non strettamente necessaria, di un processo il cui fulcro si identificava, invece, con la cooperazione in materia economica e di sicurezza[4].
Successivamente, sono seguite in continuità con Barcellona, le Conferenze di Malta (1997), di Palermo (1998) e Stuttgart (1999) che hanno ribadito l’impegno a rafforzare la cooperazione in materia di migrazioni nell’area euro-mediterranea, ma non hanno condotto al superamento delle difficoltà . Ma è con il Consiglio di Santa Maria da Feira[5] (2000), che viene sottolineata una prospettiva strategica che voglia fare delle migrazioni un fattore di co-sviluppo e di integrazione tra le due rive del Mediterraneo, viene stabilita la necessità di una collaborazione con i partners mediterranei (del processo di Barcellona) per un approccio globale nel settore delle migrazioni che includa la sfera sociale, culturale ed economica. Questo approccio comporta, conseguentemente, la lotta alla povertà, il miglioramento delle condizioni di vita e delle opportunità di lavoro, la prevenzione dei conflitti, il consolidamento della democrazia per il rispetto dei diritti umani. Con
Tra i più significativi strumenti della cooperazione si ricordano infine gli Accordi di associazione, che rivestono un ruolo di particolare importanza nella realizzazione di un’area di libero scambio euro-mediterranea entro il 2010.
In particolare, durante la terza Conferenza settoriale sul commercio di Palermo (2003), i Ministri Euromed hanno verificato gli sviluppi positivi degli Accordi di Associazione Euromediterranei[10]. La rete degli accordi bilaterali è quasi completa. Dalla Conferenza di Toledo sono stati siglati gli Accordi di Associazione con l'Algeria (aprile 2002) e Libano (giugno 2002). L'Accordo UE-Giordania è entrato in vigore nel maggio 2002 e un Accordo ad interim con il Libano è entrato in vigore nel marzo 2003. Un Accordo ad interim con l'Egitto è in fase di conclusione, ed i negoziati con
Con riferimento alla dimensione sud-sud, il 1°gennaio 2005 è entrato in vigore l’Accordo di Agadir, firmato il 25 febbraio 2004 fra i Ministri degli Esteri di Egitto, Giordania, Marocco e Tunisia, che rappresenta un'iniziativa, lanciata nel maggio 2001, per creare un'area di libero scambio regionale. E’ essenziale che in futuro si realizzi un numero sempre crescente di accordi sul libero scambio fra gli stessi partner mediterranei per far sì che il Partenariato Euro-mediterraneo acquisti un'effettiva dimensione sud-sud.
E’ di particolare rilievo la questione se gli incentivi forniti dal processo di integrazione mediterranea, realizzata anche attraverso i Programmi Meda, siano sufficienti ad attenuare i flussi migratori verso l’Europa. Nella regione del sud mediterraneo la crescita economica rappresenta una condizione necessaria per la riduzione degli squilibri che sono di ostacolo ad un dialogo tra le due rive. A tale condizione una corretta cooperazione economica regionale potrebbe rivelarsi un supporto essenziale allo sviluppo economico.
L’allentamento della pressione migratoria potrebbe realizzarsi probabilmente se, a livello macroeconomico, si riuscirà a ridurre il differenziale tra domanda ed offerta di lavoro e se, a livello microeconomico, l’integrazione regionale sarà in grado di creare aspettative di crescita dell’occupazione e dei salari tali da convincere i potenziali emigranti a non abbandonare il proprio Paese[11]. Fino ad ora il ruolo riservato alla cooperazione regionale è stato piuttosto limitato, pur rivestendo un’importanza nell’ottica di un processo di cooperazione. Sarebbe auspicabile un’intensificazione di risorse da destinare alle attività che implicano rapporti sud-sud, come l’integrazione commerciale sud-sud con l’apertura delle frontiere tra i Paesi sud-mediterranei e con altre iniziative, coinvolgendo le associazioni regionali (ad esempio, l’Unione del Maghreb Arabo).
Analogamente, per quel che concerne il rapporto tra la liberalizzazione dei commerci e la riduzione del processo migratorio, sorge una serie di questioni sui possibili effetti di tali liberalizzazione sulla distribuzione del reddito nel Paese di origine, in virtù di un potenziale processo di specializzazione del lavoro, ancor più amplificati da una liberalizzazione contestuale degli investimenti[12]. E’ probabile secondo alcuni autori[13], che la liberalizzazione possa paradossalmente condurre ad un ampliamento del divario salariale tra lavoro qualificato e non, incentivando in tal modo una delle ragioni a fondamento dell’emigrazione.
Si apre allora la via a due ordini di considerazioni sul ruolo che il processo di integrazione mediterranea ed i Programmi Meda sono chiamati a svolgere.
In primo luogo, discende dalle considerazioni appena fatte che uno degli elementi cruciali del problema della riduzione della pressione migratoria risiede nella necessità di migliorare le condizioni del settore che accoglie il maggior numero di lavoratori non qualificati: il settore agricolo. Si potrebbe estendere la liberalizzazione dei prodotti agricoli, accompagnata da misure di sostegno finanziate dall’Unione Europea, che potrebbero agevolare i profondi mutamenti strutturali di cui necessita il settore.
In secondo luogo, una cooperazione che voglia agire incisivamente sul divario sud-nord dovrà dirigere le proprie risorse, oltre che nell’investimento in capitale umano che rappresenta il grado di formazione ed istruzione degli abitanti di un Paese (consentendo di generare nuove idee oltre che nuove imprese), anche verso quei fattori che siano in grado di realizzare una good governance[14]. La qualità delle istituzioni, l’esistenza di un sistema giuridico che assicuri il rispetto delle regole, la correttezza e la trasparenza della pubblica amministrazione, l’autonomia e l’equilibrio nei poteri rappresentano elementi importanti di un modello di crescita e di sviluppo. Gli investimenti, infatti, vanno verso i Paesi con istituzioni solide, non incerte[15], e grande rilievo, in questo contesto assume l’esistenza di una coesione del tessuto sociale, il capitale sociale, ovvero l’insieme delle relazioni e del conseguente grado di fiducia che esiste all’interno di una società, vero collante naturale del sistema economico.
Il processo di pace e di stabilità realizzato all’interno dell’Unione Europea potrà e dovrà essere proiettato anche sui vicini prossimi dell’Unione. La recente politica di prossimità della Commissione Europea[16] va in questa direzione: occorre dare una nuova prospettiva politica ai Paesi vicini per generare un meccanismo di cooperazione, di partecipazione di uno spazio comune che non preveda, comunque, l’adesione o la condivisione delle istituzioni. Maggiore sarà l’intensità dei rapporti tra l’Unione e i suoi vicini mediterranei e migliori saranno le possibilità di realizzare reciproci vantaggi in termini di stabilità, crescita e di sicurezza. Per realizzare questo ambizioso progetto l’Unione europea utilizza nuovi strumenti di partenariato accanto a quelli già esistenti[17].
La questione appare, tuttavia, particolarmente complessa sia dal punto di vista politico che tecnico-procedurale. Dal punto di vista politico è di grande rilevanza la discussione sulla creazione di un nuovo strumento finanziario di prossimità che superi la divisione tradizionale tra spazi interni e spazi esterni, tra politica interna e politica esterna dell’Unione, per sostenere la creazione di uno spazio comune di coesione e sviluppo. Questo comporta non solo nuovi meccanismi di coordinamento tra la politica di coesione e i programmi di cooperazione verso i Paesi vicini ma, appunto, la creazione di un nuovo strumento finanziario che integri gli strumenti interni ed esterni. È importante che la creazione del nuovo strumento finanziario di prossimità avvenga tenendo conto dei principi di partenariato e sussidiarietà, e quindi del ruolo che possono svolgervi i governi subnazionali e le loro strutture. Questo potrà significare una gestione maggiormente deconcentrata o decentrata dei programmi di cooperazione con i Paesi vicini e, in prospettiva, del nuovo strumento finanziario di prossimità.
Allo stesso modo potrebbe essere previsto un maggiore coordinamento tra le istituzioni finanziarie pubbliche dei diversi livelli: dalle banche regionali di sviluppo alle finanziarie regionali. In particolare queste ultime potrebbero assumere un compito innovativo di supporto ai partenariati territoriali[18]. In tal senso, si è già sottolineata l’opportunità di un Consiglio intergovernativo dell’area mediterranea accompagnato da una Banca del Mediterraneo[19] . Naturalmente questo principio della condivisione di alcuni valori e dei reciproci vantaggi potrà estendersi anche ad altre realtà per le quali la politica di prossimità potrebbe rappresentare un valido supporto per l’eventuale realizzazione di riforme in grado di migliorare nuovi stadi di sviluppo più avanzato.
Sabina Mazza
* Da “Le migrazioni e la cooperazione euro-mediterranea”, in Studi Emigrazione, n.161, CSER, 2006.
[1] I 12 Paesi mediterranei sono: Algeria, Cipro, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia e Territori Palestinesi.
[2] Spesso nella maggior parte dei Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo si segnala la mancanza di rapporti di collaborazione tra i produttori e gli utilizzatori dei dati, pertanto per questi Paesi l’obiettivo prioritario del programma è costituito dal creare ex novo la cooperazione interistituzionale, mentre per i quindici consiste nel migliorarla.
[3] Lo Stato di Israele si differenzia dagli altri per aver adottato un meccanismo di registrazione di informazioni in base al quale nel momento in cui un soggetto o un gruppo familiare dichiara di essere ebreo ed ottiene una casa ed un lavoro, i suoi dati vengono raccolti in apposite banche dati di tutti i Ministeri.
[4] F. Pastore, Relazioni Euromediterranee e migrazioni, In: A. Stocchiero (a cura di), Dossier Politiche Migratorie e di Cooperazione nel Mediterraneo, CESPI, Roma 26 ottobre 2001, pp. 43-44
[5] Consiglio Europeo di Santa Maria da Feira 19 e 20 Giugno 2000 - Conclusioni della Presidenza - Allegato V, Strategia Comune dell'unione Europea sulla Regione Mediterranea . Consultabile anche sul sito internet: www.europa.eu.int/european_council/conclusions/index_it.htm
[6] Vth Euro-Mediterranean Conference of Foreign Ministers Affairs – Valencia, 22-23 April 2002 – Presidency Conclusions. Consultabile sul sito: www.europa.eu.int/comm/external_relations/euromed/conf/val/action.pdf.
[7] Vth Euro-Mediterranean Conference of Ministers for Foreign Affairs - Valencia Action Plan.
[8] Euro-Mediterranean Ministerial Conference on trade - Toledo, 19 March 2002. Conclusions of the Presidency. Consultabile sul sito: www.europa.eu.int/comm/trade/issues/bilateral/regions/euromed/conferences_en.htm.
[9] Il FEMIP è stato costituito come unità autonoma entro
[10] Conclusions Of The Euro-Mediterranean Trade Ministerial Conference - Palermo, 7 July 2003. Consultabile anche sul sito: www.europa.eu.int/comm/trade/issues/bilateral/regions/euromed/conferences_en.htm.
[11] M. Mistri, Sul trade-off tra immigrazione e commercio estero. Sviluppo economico dei Paesi del mediterraneo e delocalizzazione produttiva. «Rivista SIEDS», n.1-2, Gennaio-Giugno 2002, pag. 64.
[12] Vedi in questo senso: D. Davis, 1996, Trade liberalization and Income Distribution, NBER Working Paper, n.5693, 1996, 3 p. e R. Feenstra; G. Hanson, Foreign Investment, Outsourcing and Relative Wages, in Political Economy of Trade Policy, Cambridge, MIT press, 1996, 6 p.
[13] Ibidem
[14] L’instabilità politica potrebbe vedere molto più difficile per i paesi poveri con consistenti popolazioni giovani realizzare la crescita economica e attrarre gli investimenti necessari per creare opportunità di lavoro. S. .Mazza, Le migrazioni nell’Europa dei cittadini, In S. Mazza; N. Conti (a cura di), Le migrazioni nelle relazioni internazionali, Milano, Giuffrè Editore, quaderni di Studi Europei, Vol. 1/2002, p. 67.
[15] V. in tal senso il contrastante andamento dei flussi degli investimenti diretti esteri verso i Paesi mediterranei relativi agli ultimi anni, in Eurostat, Statistics in focus, theme 1, 8/2003 e Eurostat, Statistics in focus, theme 2, 13/2003.
[16] Vedi in tal senso: Il Consiglio europeo ribadisce l'importanza che annette al rafforzamento della cooperazione con i vicini su una base di partenariato, di titolarità comune e di valori condivisi in materia di democrazia e di rispetto dei diritti umani. Conviene di sviluppare, nell'ambito della politica europea di vicinato, piani d'azione con tutti i partner euro-mediterranei con i quali sono in vigore accordi di associazione”. Consiglio Europeo di Bruxelles 17 e 18 Giugno 2004 - Conclusioni della Presidenza. Consultabile anche sul sito internet: www.europa.eu.int/european_council/conclusions/index_it.htm
[17] Nel maggio 2004
[18] Conferenza Internazionale - Semestre della Presidenza Italiana dell’UE, Il Partenariato interregionale nella politica di prossimità: Il Mediterraneo ed i Balcani . Ancona, 17 - 18 Ottobre 2003. Consultabile anche sul sito: www.cespi.it/Ancona/Paper6.PDF.
[19] Prevista nel documento di lavoro adottato dalla Commissione del febbraio 2002: Sec (2002)218 e ribadita a Toledo: “Mediterranean partners strongly support the Laeken European Council conclusions as regard the creation of a Euromediterranean Bank in order to facilitate additional financing support to the private sector in the Mediterranean region”. Euro-Mediterranean Ministerial Conference on trade - Toledo, 19 March 2002 – Conclusions of the Presidency, consultabile anche sul sito internet: www.europa.eu.int/comm/trade/issues/bilateral/regions/euromed/conferences_en.htm; e ripresa a Valencia: “In the economic and financial area, Ministers agreed on the need to increase investment in order to promote growth and employment around the Mediterranean. They welcomed the decision to create a reinforced Facility within the EIB to mobilize resources in particular for private sector investment. In this respect, the Presidency took note of the strong support voiced by Mediterranean partners for the creation of a Euro-Mediterranean Bank”. Vth Euro-Mediterranean Conference Of Foreign Ministers (Valencia, 22-23 April 2002) - Presidency Conclusions.
Si è preferito, però, istituire il FEMIP, ovvero una Facility presso